Lo stress può peggiorare la capacità visiva

Che lo stress faccia male, è un fatto risaputo ed assodato. Malumori e tensioni mettono in circolo energie negative ed “avvelenano” nel vero senso della parola il nostro organismo. Ecco perché i medici di tutto il mondo raccomandano di sorridere alla vita e di tenere alto il morale il più possibile. Insomma, si potrebbe dire che non sia solo una mela al giorno a togliere il medico di torno, ma anche una risata.

Stress e peggioramento della capacità visiva: un circolo vizioso

Il dottor Bernhard Sabel, direttore dell’istituto di psicologia medica dell’Università di Magdeburgo, ha condotto una ricerca, pubblicata su Epma Journal, volta a definire la connessione diretta tra un incremento dello stress mentale e la perdita della capacità visiva. I risultati dello studio hanno confermato che non solo lo stress può peggiorare la capacità visiva anche in soggetti con occhi perfettamente sani, ma che questo può anche essere la conseguenza del peggioramento della salute oculare, innescando dunque un circolo vizioso dal quale non sempre è facile uscire. Questo accade perché la perdita di vista viene vissuta dal paziente come un evento molto stressante, debilitante ed irreversibile: l’ansia e lo stress generati da questi pensieri, non fanno che peggiorare la situazione, aggravando lo stato di salute dell’apparato visivo ma anche conducendo, nei casi più gravi, ad isolamento sociale e depressione.

Lo stress come possibile responsabile di alcune patologie oculari

Lo studio condotto dal dottor Bernhard Sabel ha evidenziato come lo stress danneggi la retina, il nervo ottico ed anche il cervello. Oltre alla comparsa o al peggioramento dei difetti refrattivi, tensioni, preoccupazioni e malumori possono essere responsabili di alcune gravi patologie oculari come la maculopatia sierosa centrale, il glaucoma ed anche la perdita improvvisa e totale della vista, seppur temporanea. Per quanto riguarda in particolare il glaucoma, questo potrebbe peggiorare drasticamente, a causa della presenza del cortisolo, l’ormone dello stress, che contribuisce ad un aumento della pressione oculare.

Conclusioni e precisazioni

A conclusione dello studio, il dottore Bernhard Sabel ha precisato che lo stress mentale non è la causa esclusiva della perdita di vista e dell’esordio o peggioramento di alcune patologie oculari, ma deve essere considerato come un fattore di rischio non trascurabile e una tra le cause dei problemi visivi sopracitati. E’ responsabilità dei medici, secondo il ricercatore, cercare di infondere positività ed ottimismo nei pazienti ed al contempo fornire loro tutte le informazioni necessarie sia di carattere medico scientifico sia in merito alle strategie da mettere in atto per ridurre il più possibile lo stress.

Fonte: SpringerLink.com

 

Usare lo smartphone al buio? Meglio di no

E’ oramai risaputo che l’uso eccessivo di dispositivi elettronici quali smartphone, tablet e computer non è un toccasana per i nostri occhi. Quando l’uso di questi device avviene in condizioni di scarsa luminosità, i possibili effetti negativi si amplificano. Vediamo quali sono i rischi e le conseguenze per il nostro apparato visivo. 

Gli apparecchi elettronici: compagni di lavoro ed “assistenti” inseparabili

Siamo nell’era dei device elettronici ed oramai l’abitudine di cercare informazioni e comunicare attraverso questi comodi strumenti ha soppiantato ampiamente l’uso di altri metodi più obsoleti e dal carattere meno immediato. Ecco perché trascorriamo molto tempo, durante le nostre giornate, utilizzando smartphone, tablet e computer. I device elettronici sono diventati i nostri compagni di lavoro ma anche i nostri assistenti personali, con i quali ci teniamo informati, contattiamo gli amici e molto altro. Non è infrequente, a fine giornata, dare un ultimo sguardo al cellulare proprio prima di dormire, nel buio della nostra stanza da letto, cercando qualche informazione di nostro interesse o facendo due chiacchiere in chat con un amico. Ma siamo sicuri che questa abitudine sia davvero così rilassante? O forse è il caso di chiudere la giornata lavorativa spegnendo i device elettronici che ci accompagnano durante il corso di essa, dedicandoci invece ad un altro tipo di attività? La risposta naturalmente è la seconda.

Consultare gli apparecchi elettronici a letto fa male, ecco spiegato il perchè

Uso notturno dei device elettronici e cecità temporanea da smartphone

L’uso dei dispositivi elettronici al buio o in condizioni di luminosità limitata affatica notevolmente la muscolatura degli occhi, compromette la buona circolazione sanguigna e peggiora sensibilmente la corretta percezione della visione da vicino e da lontano. Un fenomeno abbastanza comune, a questo proposito, è la cecità temporanea da smartphone, dovuta proprio all’esposizione intensa alla luce blu emessa dai dispositivi elettronici: una perdita di vista temporanea e reversibile immediatamente successiva all’uso di questi device, che avviene quando, posata la testa sul cuscino, si tende ad usare ed a sforzare un solo occhio per la consultazione e la lettura elettronica. Mentre l’occhio posato sul cuscino è adattato al buio, quello che sta consultando il dispositivo elettronico si trova nella condizione esattamente opposta, ovvero esposto ad una condizione di luce intensa. Una volta terminata la lettura e ripristinata la condizione di buio per entrambi gli occhi, quello che ha “lavorato” avrà bisogno di alcuni minuti per adattarsi alla nuova condizione, e si avrà dunque una condizione che è stata definita cecità temporanea da smartphone. Si tratta di una condizione temporanea e reversibile, anche se non dimentichiamo che l’uso eccessivo di tablet, smartphone e computer può anche causare problemi più seri: la luce blu infatti, può causare danni alla retina, ed in particolare sembra che possa contribuire all’insorgenza di maculopatie, come la degenerazione maculare.

La visione digitale peggiora anche la qualità del sonno

La visione digitale al buio, insomma, non è affatto un piacere, ma un compito gravoso per il nostro apparato visivo. Oltre ai danni che la visione digitale in condizioni di scarsa luminosità apporta al nostro apparato visivo, vi sono anche quelli relativi alla qualità del sonno. Trascorrere l’ultimo lasso di tempo prima di dormire impegnati nell’uso di un device elettronico infatti, comprometterebbe la qualità del riposo.

Prima di dormire, due chiacchiere o un buon libro

Il consiglio è dunque quello di tornare alle abitudini di un tempo, come quella di leggere un buon libro, uscire a fare due passi, chiacchierare con qualcuno, posando, almeno fino all’indomani, il proprio smartphone o il proprio tablet. Per fare un regalo al vostro apparato visivo, al vostro riposo ed al vostro benessere psicofisico in generale.

Distacco di retina: che cos’è e come si risolve

La retina è una sottilissima membrana che riveste tutta la superficie interna del nostro bulbo oculare. Il suo ruolo nella visione è fondamentale, perché su di essa sono collocati i fotorecettori – coni e bastoncelli – che trasferiscono l’informazione luminosa al cervello. Se la retina va incontro ad una rottura e, peggio ancora, ad un distacco, la visione è compromessa, così come la salute dell’occhio. Si rende dunque necessario intervenire. Vediamo come. 

Cos’è un distacco di retina

Il distacco di retina non è un’evenienza molto frequente, ma quando accade è sempre bene correre ai ripari quanto prima, onde non veder compromesse le proprie capacità visive. Il distacco di retina si ha quando la retina si stacca dalla superficie del bulbo oculare alla quale, in condizioni normali, essa aderisce perfettamente. In particolare, il distacco può avvenire nelle zone periferiche della retina, oppure nella parte posteriore, in una zona molto importante chiamata macula, ricca di fotorecettori e deputata alla percezione dei colori: in questo caso si ha una patologia appartenente alla famiglia delle maculopatie. Quando la retina si stacca dal bulbo oculare, si viene a formare un liquido, chiamato anche sottoretinico.

Le cause di un distacco di retina possono essere:

  • un trauma al bulbo oculare
  • una rottura spontanea (causata talvolta da una miopia medio-alta, perchè la miopia porta l’occhio ad allungarsi)
  • una trazione vitreoretinica (causata per esempio da una retinopatia diabetica oppure dalla presenza di miodesopsie particolarmente accentuate, che possono indurre una trazione del vitreo capace di danneggiare la retina)

I sintomi di un distacco di retina sono:

  • sensazione di offuscamento del campo visivo: al paziente sembra di vedere una “tenda nera” in parte del campo visivo
  • fosfeni: sono dei flash luminosi percepiti a livello periferico
  • miodesospie: sono le cosiddette “mosche volanti”

Come si risolve un distacco di retina

Il distacco di retina va risolto in modo piuttosto tempestivo, in particolar modo se si tratta di un distacco periferico, così da limitare l’espansione del danno anche al resto della retina, inclusa la macula. La terapia da mettere in atto è di tipo chirurgico. Le strade percorribili sono due e consentono, eseguite singolarmente oppure in abbinamento a seconda della situazione specifica del paziente, di ridurre le trazioni viteoretiniche, chiudere le eventuali rotture della retina e far aderire nuovamente la retina nella sua sede naturale.

  1. Chirurgia episclerale: esterna dell’occhio
  2. Vitrectomia: interna all’occhio

La chirurgia episclerale

La chirurgia episclerale prevede che si intervenga sulla sclera, ovvero la parte bianca del bulbo oculare. Le tecniche messe in atto sono due, e prendono il nome di piombaggio e cerchiaggio.

Con il piombaggio, le rotture retiniche vengono “tappate” con l’ausilio di una spugnetta di silicone. Con il cerchiaggio, invece, si posiziona una sorta ci “cintura” lungo tutto il diametro dell’occhio, per ridurne la dimensione e contrastare le forze messe in atto da eventuali trazioni vitreoretiniche. Entrambe le tecniche vengono eseguite in day surgery, sono poco invasive perchè effettuate solo esternamente all’occhio, e sono rapide.

La vitrectomia

La vitrectomia consiste nella rimozione parziale o totale del vitreo, quella sostanza gelatinosa ricca di fibre di collagene che “riempie” il bulbo oculare. Questa opzione si sceglie nel caso vi siano in atto patologie che compromettono l’omogeneità del vitreo e che hanno innescato una dannosa trazione sulla retina.

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Le malattie della retina

La retina è una sottile membrana situata nel segmento posteriore dell’occhio: il suo ruolo è fondamentale in quanto è lei a ricevere i segnali luminosi ed a trasmetterli al nervo ottico. Ma cosa succede se la retina “si ammala”? Quali e quante patologie della retina esistono? Sono curabili? Ecco tutte le risposte. 

Che cos’è la retina?

La retina è una membrana molto sottile che riveste la parte interna posteriore del nostro bulbo oculare. Su di essa sono posizionati i fotorecettori, coni e bastoncelli, responsabili della ricezione degli impulsi luminosi e della loro trasmissione al nervo ottico, che a sua volta li condurrà al cervello trasformandoli in informazione visiva. Il meccanismo è simile a quello di una macchina fotografica tradizionale, e la retina è dunque paragonabile alla pellicola. Al centro della retina, proprio dietro alla pupilla, si trova la macula, una piccolissima ma importantissima zona, molto ricca di fotorecettori, deputata al riconoscimento dei colori. Quando “il meccanismo” funziona alla perfezione, non ci sono problemi. Diverso è il caso se la retina si ammala, si deteriora o si danneggia, come conseguenza di una patologia o di un trauma oculare.

Cosa succede se la retina si ammala? Quali sono le più comune patologie della retina?

La retina è molto delicata ed è fondamentale nel processo visivo, che può venire pregiudicato da un’eventuale patologia o da un trauma oculare. Alcune patologie della retina coinvolgono solamente la macula, e sono chiamate per questo maculopatie.

L’elenco delle patologie della retina è piuttosto vasto. Eccone alcune:

Le patologie sopra citate non sono risolvibili, come i difetti visivi, con l’ausilio di lenti, ma necessitano un’attenta valutazione ed un intervento medico, sia esso farmacologico o chirurgico. In CAMO siamo specializzati nel trattamento delle patologie retiniche ed incluso delle maculopatie, grazie ad un team di oculisti altamente specializzati ed al supporto di un moderno reparto di chirurgia del segmento posteriore.

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Prevedere chi soffrirà di perdita di memoria studiandone gli occhi? Forse sì

Prevedere chi soffrirà di perdita di memoria studiandone gli occhi? Forse sì

Un recente studio condotto da Jennifer Deal – medico ricercatore della J.Hopkins University di Baltimora (Maryland) – e pubblicato su Neurology nel febbraio del 2018, ha mostrato come i soggetti aventi una retinopatia da moderata a grave intorno ai 60 anni siano più predisposti a sviluppare problemi neurologici e di perdita di memoria intorno agli 80 anni, se paragonati ai loro coetanei aventi un apparato visivo perfettamente sano. 

Lo studio ha coinvolto 12.317 persone, le quali sono stati sottoposte ad una serie di test di memoria ed esercizi di apprendimento in tre momenti differenti: all’inizio della ricerca, dopo sei anni, e dopo 20 anni. Di queste oltre 12 mila persone, a soli 3 anni dall’inizio della ricerca, 11.692 non mostravano segni di retinopatia, 365 mostravano segni di moderata retinopatia e 256 avevano invece una grave retinopatia.

L’esito della ricerca

I soggetti aventi una retinopatia da moderata a grave hanno ottenuto un punteggio minore ai test di apprendimento e memoria ai quali sono stati sottoposti dopo 20 anni, rispetto ai loro coetanei aventi un apparato visivo sano. 

Osservare l’occhio per osservare il cervello

Lo studio, pubblicato in Neurology il 28 febbraio 2018, ha dimostrato dunque che una retinopatia moderata o grave intorno ai 60 anni predispone allo sviluppo di problemi di memoria intorno agli 80 anni. Alla base dello studio vi è l’idea che il declino cognitivo sia causato dai piccoli vasi sanguigni presenti nel cervello, che però sono impossibili da fotografare e monitorare. Perchè allora non osservare i vasi sanguigni presenti nell’occhio?

Insomma, l’integrità della retina sarebbe l’unità di misura dell’integrità dei vasi sanguigni del cervello, e ci consentirebbe di stimare lo stato di salute di un organo che non sempre è facile esaminare, permettendoci altresì di valutare il declino cognitivo di ciascun soggetto.

Limiti della ricerca

La ricerca della quale vi abbiamo parlato oggi, nonostante sia davvero interessante ed innovativa, non è esaustiva e sicuramente apre la strada ad un’ulteriore serie di studi sulla connessione tra lo stato di salute dell’occhio e quello del cervello e sull’uso dell’occhio come “indicatore” della situazione cognitiva degli individui. Inoltre, Jennifer Deal ha sottolineato come un potenziale limite della ricerca abbia sede nel fatto che, per ciascun individuo, è stato preso in esame un solo occhio.

Fonte: www.aan.com

Il collirio NGF tra i grandi protagonisti di SITRAC 2018

Aprirà i battenti oggi 22 febbraio a Firenze una tre giorni di congressi organizzata e promossa da Sitrac, Società Italiana Trapianto di Cornea, avente l’obiettivo di fare il punto sulle ultime terapie, sulle tecniche chirurgiche e non, sui problemi di indole sociale e legale, insomma su tutto ciò che ruota intorno alle tematiche inerenti la cornea.  All’evento prenderanno parte alcuni tra i massimi esperti a livello mondiale in fatto di cornea. Tra le novità discusse, vi sarà anche il nuovo collirio al fattore di crescita neurotrofico, il cosiddetto collirio NGF. Vediamo di che si tratta.

Cos’è il Nerve Growth Factor?

Il fattore di crescita nervoso, che  (Nerve Growth Factor – NGF), che valse a Rita Levi Montalcini e Stanley Cohen l’assegnazione del prestigioso Premio Nobel nel 1986, è un’importante proteina che viene prodotta naturalmente dal nostro organismo. Non è una proteina qualunque, bensì una proteina “segnale”, ovvero in grado di segnalare la presenza di cellule del tessuto nervoso (neuroni) che sono morte e che vanno sostituite. Una scoperta rivoluzionaria, che ha trovato recentemente applicazione in campo oftalmico con la messa a punto del collirio NGF, ribattezzato anche “collirio Montalcini”.

A chi sarà d’aiuto il collirio NGF ?

Il collirio sta suscitando interesse ed entusiasmo nella comunità scientifica. Esso sarà utile a chi soffre di retinite pigmentosa, una rara malattia genetica della retina, per la quale si è già tentata con scarso successo la terapia genica. Sono ben 50, infatti, i geni responsabili della retinite pigmentosa, ecco perchè pensare di sostituirli tutti è davvero un’impresa molto difficile. Il collirio NGF si è dimostrato efficace nel riuscire a rallentare la degenerazione della retina, favorendo la neurorigenerazione anche in soggetti aventi altre patologie, come il glaucoma. Un’altra patologia coinvolta nei benefici apportati dal collirio NGF è la cheratite neurotrofica, una malattia degenerativa rara che colpisce la cornea. Poichè la cornea non è vascolarizzata ma bensì è costituita da fibre di collagene ricche di terminazioni nervose, il collirio sarà un valido aiuto per stimolare la rigenerazione cellulare anche in questa sede. Infine, il collirio Montalcini sarà anche d’aiuto a chi soffre di sindrome di occhio secco, per il trattamento della quale, sino ad oggi, si proponevano trattamenti più blandi, quali lacrime artificiali e colliri.

A proposito di terapia genica, leggi anche: Amaurosi Congenita di Leber, sviluppata la prima terapia genica al mondo

A proposito di occhio secco, leggi anche: sindrome dell’occhio secco, quanto ne sappiamo?

Se ne parlerà al congresso SITRAC

Oltre che del collirio Montalcini, a Firenze si parlerà anche di molto altro, in particolare di tutte le novità riguardanti la chirurgia della cornea, delle nuove terapie farmacologiche, di farmaco resistenza. Tuttavia, il grande protagonista del congresso SITRAC sarà il collirio contenente la molecola “nobel”, che è già in commercio dalla scorsa estate con il nome di Cenegermin e, nello stesso periodo, ha ricevuto l’approvazione dell’Unione Europea. Una grande scoperta scientifica trova applicazione nella medicina oftalmica ed entra dunque ufficialmente a far parte dei farmaci usati per quelle patologie – come la cheratopatia neurotrofica – per le quali fino a ieri non era stato individuato alcun trattamento specifico.

Mosche volanti, quali soluzioni?

Alcuni giorni fa abbiamo affrontato l’argomento delle mosche volanti, spiegando brevemente come si manifesta questo tipo di disturbo e perchè insorge. Abbiamo anche accennato a possibili soluzioni, terapeutiche e chirurgiche. Oggi vogliamo entrare nel merito del trattamento delle mosche volanti: quando è il caso di intervenire? Che cosa si può fare per eliminarle? Vediamo nel dettaglio le risposte a questi quesiti.

Mosche volanti: conviverci oppure eliminarle?

Innanzitutto è bene ribadire che le miodesposie, comunemente note come “mosche volanti”, sono un fenomeno del tutto normale e fisiologico, conseguenza del naturale invecchiamento del vitreo. La struttura vitreale, come abbiamo avuto modo di accennare in precedenza, è composta da collagene, una sostanza gelatinosa che, con l’andare degli anni, tende a perdere la sua naturale omogeneità e ad addensarsi sotto forma di accumuli.

Le mosche volanti non sono dunque al di fuori dell’occhio ma al suo interno. Poichè si tratta di un fenomeno naturale e fisiologico, nella maggior parte dei casi si consiglia al paziente di soprassedere e di conviverci in modo “pacifico”. In fondo, le mosche volanti risultano molto evidenti solo se si guarda verso una fonte di luce molto intensa (per esempio, se si guarda verso il cielo in estate), ma nel corso della giornata non sono eccessivamente fastidiosi.

Leggi anche. Mosche volanti, quando preoccuparsi.

In alcuni casi, tuttavia, gli addensamenti di collagene sono particolarmente numerosi ed il fenomeno diventa fastidioso e poco sopportabile per il paziente. Cosa fare allora? Le strade che il vostro oculista di fiducia andrà a consigliarvi sono generalmente tre. Vediamole di seguito.

3 strade possibili per dire addio alle mosche volanti

1 – La prima strada che il vostro medico oculista di fiducia vi consiglierà è sicuramente quella di assumere, per via orale, un integratore di vitamine, sali minerali ed aminoacidi. Il medico vi consiglierà anche di bere molto, perchè il vitreo (come un pò tutte le cellule del nostro corpo) per mantenersi in salute ha bisogno di essere molto idratato. Vi sembrerà una banalità, ma bere molto è di grande aiuto per mantenere il vitreo in salute e prevenire eventuali danni alla retina.

2 – Qualora le miodesposie siano invece fastidiose ed invalidanti, il vostro medico oculista valuterà se intraprendere la strada dell’intervento laser. L’intervento laser per l’eliminazione delle mosche volanti prende il nome di laservitreolisi e si esegue grazie ad uno speciale laser chiamato YAG, la cui lunghezza d’onda consente di andare a distruggere i tessuti laddove il medico decide di intervenire. E’ lo stesso laser che si usa anche per risolvere, ove necessario, il glaucoma. Per ciò che concerne il trattamento delle mosche volanti, la laservitreolisi consiste nella distruzione degli addensamenti di collagene tramite il laser. La laservitreoilisi è un intervento molto delicato che va valutato con molta attenzione e che va eseguito solamente da un medico particolarmente esperto: perizia, grande competenza ed esperienza sono alla base della buona riuscita di questo genere di intervento che, vi ricordiamo, non è del tutto risolutivo. Il laser infatti va a distruggere solamente gli addensamenti più grandi, ed interviene a debita distanza dalla retina, ecco perchè alcuni addensamenti non si possono eliminare durante l’intervento.

Leggi anche. Glaucoma, intervista al dott.Belloni

3 – La terza soluzione che il medico potrebbe prospettarvi è anche la meno comune vitrectomia. La vitrectomia è un intervento che si esegue generalmente quando il fenomeno delle mosche volanti è connesso ad altre complicazioni, come ad esempio un danno alla retina, dovuto proprio alla trazione del vitreo su di essa. Con la vitrectomia, il vitreo viene tolto, tutto o in parte, attraverso uno speciale strumento, e sostituito con una sostanza generalmente gassosa.

Conclusioni

In conclusione, le strade per trovare una via risolutiva alle mosche volanti sono quelle sopracitate, tuttavia il laser e la vitrectomia vengono eseguite solo in casi molto particolari e laddove si possono presentare delle complicazioni. In linea generale, il consiglio che diamo è quello di bere molto, praticare sport e mantenersi giovani ed attivi, assumendo, se consigliato dal medico, alcuni integratori di vitamine e sali minerali.

 

Maculopatia: parla l’esperto. Intervista al Dottor Matteo Cereda

E’ in corso la Prima Campagna Nazionale per la Prevenzione e la Diagnosi della Maculopatia. Ma sappiamo davvero che cos’è la maculopatia? Per saperne di più, abbiamo rivolto alcune domande al dottor Matteo Cereda, medico oculista e retinologo di CAMO – Centro Ambrosiano Oftalmico. 

Dottor Cereda, ci può spiegare che cos’è la maculopatia?

La maculopatia è una malattia della macula, la parte centrale della retina, dove si trovano i fotorecettori, importanti cellule che ci permettono di riconoscere volti e colori. La maculopatia nel suo stadio iniziale si presenta spesso con dei sintomi non molto marcati: il paziente si accorge di percepire come leggermente distorte linee che invece dovrebbero essere dritte, come la carreggiata della strada, o uno stipite di una porta. Altre volte, la maculopatia si presenta come una macchia cieca ed offuscata proprio al centro del campo visivo.

La maculopatia è una malattia curabile?

Esistono varie  e diverse forme di maculopatia: alcune devono solo essere controllate e osservate nel tempo, altre invece possono essere curate, con dei farmaci o con degli interventi chirurgici. Le principali e più diffuse forme di maculopatia, sono rappresentate dalla degenerazione maculare senile e dalla maculopatia diabetica.

Dottor Cereda, quali sono gli esami che occorre fare quando si sospetta una diagnosi di degenerazione maculare senile?

Quando si sospetta una diagnosi di degenerazione maculare senile è necessario effettuare una OCT, una tac dell’occhio. Non è un esame pericoloso, ma anzi è un esame semplice e rapido, che consente di scattare delle fotografie della retina. Un altro esame fondamentale è la fluorangiografia: nella vena del braccio del paziente vengono iniettati dei coloranti che, viaggiando nel ciclo sanguigno, raggiungono l’occhio, e consentono di visualizzare piccoli vasi anomali che si sono eventualmente sviluppati al di sotto o all’interno della macula del paziente.

OCT e fluorangiografia sono esami fondamentali non solo per la diagnosi di degenerazione maculare senile, ma sono anche importanti per tenere monitorato l’andamento della malattia nel tempo.

Dottor Cereda, ci può dire quali sono le forme di maculopatia risolvibili con un intervento chirurgico?

Esistono alcune forme di maculopatia che possono essere affrontate chirurgicamente. Esse sono rappresentate dal pucker maculare, dal foro maculare e dalla trazione vitreo maculare. Tutte e tre queste patologie possono essere curate tramite un intervento chirurgico chiamato vitrectomia.

Il pucker maculare è una piccola e sottile membrana  trasparente che cresce sulla macula, si contrae e può provocare una deformazione della macula stessa. L’intervento chirurgico consente di eliminarla del tutto, riportando la macula alle sue condizioni normali.

Il foro maculare è un piccolo buco che si forma nella parte centrale della macula, la retina. In questo caso al corpo vitreo viene sostituito il gas, che agirà da tappo, andando a chiudere il foro.

La trazione vitreo maculare, infine, è una anomala contrazione del vitreo, il gel che riempie l’occhio. Questa contrazione provoca una trazione sulla macula, ed una sua deformazione. La rimozione del corpo vitreo allenta le trazioni in atto sulla macula.

E la maculopatia degenerativa senile invece come si cura?

Nella forma iniziale della degenerazione maculare legata all’età, il paziente non deve essere sottoposto ad alcun trattamento, ma solo seguito dal suo oculista di fiducia. Sono le forme evolute della maculopatia che invece devono essere affrontate e trattate. Esistono due forme distinte di maculopatia legata all’età: nella forma secca, si ha una progressiva ed inarrestabile perdita dei fotorecettori della parte centrale della retina. Per questa forma purtroppo non esistono delle terapie, anche se sono in corso di studio molti farmaci che forse in futuro aiuteranno a rallentare la malattia.

La forma umida invece può essere trattata e parzialmente curata. Questa forma di maculopatia è caratterizzata da una serie di piccoli vasi sanguigni che crescono sotto e dentro la macula in modo anomalo. La molecola responsabile della crescita di questi piccoli vasi si chiama VEGF. Esistono dei farmaci molto efficati chiamati anti VEGF che possono essere iniettati nell’occhio del paziente per bloccare la crescita di questi vasi sanguigni.

Ci può spiegare meglio cosa sono le iniezioni intravitreali?

Le iniezioni intravitreali sono delle iniezioni di farmaci che vengono eseguite direttamente nell’occhio. Si chiamano intravitreali perchè grazie a queste punture il farmaco viene iniettato direttamente nel corpo vitreo, il gel che riempie l’occhio. Queste punture vengono eseguite con un ago sottilissimo concepito apposta per quest’uso, e non sono dolorose. Il paziente sente solo un leggero pizzicotto.

Come già detto, le più importanti e diffuse terapie intravitreali oggigiorno sono i farmaci anti VEGF, che sono la cura più importante per la degenerazione maculare senile. Questi farmaci possono essere iniettati per 3 volte consecutive nei primi 3 mesi di terapia. Sarà poi l’oculista a valutare, nel corso del tempo, la necessità di ripetere le iniezioni. Solitamente sono necessarie 6 o 7 iniezioni nel primo anno di trattamento, dopodiché il numero delle iniezioni tende a diminuire anno dopo anno.

Dottor Cereda, molti pazienti malati di maculopatia legata all’età temono di perdere la vista. E’ una paura fondata?

Un paziente affetto da maculopatia legata all’età non diventerà mai cieco, o solo in rarissimi casi. Nelle fasi iniziali della malattia si verifica solo un calo della sensibilità della vista. Quando invece la malattia evolve, si presentano sintomi più distinti, come la visione di linee distorte oppure una macchia al centro del campo visivo. Proprio perché colpisce esclusivamente la parte centrale della retina, mentre la parte periferica rimarrà sana nel tempo, il paziente potrà sempre riconoscere gli ostacoli e muoversi nello spazio. Quindi solo in rarissimi casi il paziente diventerà cieco; normalmente non succederà.

Nel ringraziare il dott. Cereda per il suo tempo e le sue esaustive risposte, ti ricordiamo che puoi chiamare in qualunque momento il Centro Ambrosiano Oftalmico per prenotare un appuntamento. Di seguito i nostri contatti:

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Amaurosi Congenita di Leber, sviluppata la prima terapia genica al mondo

L’americana Spark Therapeutics ha messo a punto la prima terapia genica per la cura di una malattia rara dell’occhio, la Amaurosi Congenita di Leber. I costi sono vertiginosi, tuttavia la terapia promette bene. Vediamo di che si tratta. 

Cos’è l’Amaurosi Congenita di Leber

L’Amaurosi Congenita di Leber è una malattia genetica della retina che esordisce ed è diagnosticabile sin dalla primissima infanzia – dai sei mesi di vita in poi – e porta alla cecità nell’arco di circa 30 anni di vita. E’, come detto, un disturbo ereditario, che colpisce in media 3 soggetti su 100mila. I suoi sintomi sono l’ipovisione, che si aggrava progressivamente sino a condurre alla cecità, e il nistagmo, ovvero il movimento involontario e continuo degli occhi. Un altro sintomo importante per la diagnosi dell’Amaurosi Congenita di Leber è l’assenza di attività elettrica della retina, appurabile tramite elettroretinogramma.

Qual è la causa dell’Amaurosi Congenita di Leber

La cecità ereditaria causata dall’Amaurosi Congenita di Leber è causata dalla mutazione di un gene. Al momento la ricerca ha individuato una ventina di geni che, se mutati, sono responsabili dell’esordio della malattia. Tuttavia, nel 10% dei casi, essa è dovuta alla mutazione del gene RPE65: è l’Amaurosi Congenita di Leber di tipo 2. Per ereditare la malattia, è necessario che entrambi i genitori siano portatori (anche sani) di questa alterazione genetica.

Terapia genica per la cura dell’Amaurosi Congenita di Leber

Buone notizie per i malati di Amaurosi Congenita di Leber: americana Spark Therapeutics è riuscita a mettere a punto una terapia genica che consente, con un solo trattamento, di migliorare ampiamente questa forma di cecità ereditaria. Si tratta di una iniezione di un farmaco contenente il gene responsabile della malattia, l’RPE65, nella sua versione non alterata, e dunque corretta. Il farmaco – il cui principio attivo è il voretigene neparvovec –  viene iniettato direttamente nella retina del paziente, cosicché le cellule retiniche riprendano la loro attività naturale, garantendo ampi margini di miglioramento visivo. I soggetti che si sono sottoposti a terapia con il nuovo farmaco hanno mostrato un significativo miglioramento della capacità visiva non solo nell’immediato, ma anche sul lungo periodo (1 anno).

Una terapia dai costi proibitivi

La nota dolente, tuttavia, sembra essere il costo: in America, dove il farmaco è stato sviluppato e brevettato, esso ha un costo di 425 mila dollari per occhio, il che significa 850 mila dollari per effettuare la terapia su entrambi gli occhi. Un costo decisamente proibitivo, anche se il colosso farmaceutico sta valutando di mettere a punto formule di pagamento più flessibili ed accessibili. Non sono mancate, tuttavia, le polemiche su questo punto.

Presto il farmaco per il trattamento dell’Amaurosi Congenita di Leber accessibile anche per i pazienti europei

E’ notizia di ieri che la commercializzazione del voretigene neparvovec avverrà al di fuori del confini americani. Anche i pazienti italiani affetti da Amaurosi Congenita di Leber insomma potranno usufruire dei frutti di questo grande traguardo della ricerca. Non resta che da appurare a che prezzo sarà reso disponibile in farmaco nei paesi europei.

Mosche volanti, quando preoccuparsi?

Può capitare, soprattutto dai 40 anni in poi, di vedere, nel proprio campo visivo, degli strani puntini o macchioline in movimento. Chiamati anche “corpi mobili”, “miodesopsie” o “mosche volanti”, essi sono maggiormente visibili quando si guarda verso uno sfondo chiaro ed uniforme. Ma di cosa si tratta? Sono sintomo di qualche patologia? Quando è il caso di preoccuparsi e/o di contattare uno specialista. Vediamolo nel dettaglio.

Il termine “miodesopsia” deriva dal greco myōdes (simile a mosche) e òpsis (visione), da cui deriva l’espressione più comune “mosche volanti”. La parola, va da sè, è davvero molto antica, il che ci fa comprendere che il fenomeno dei corpi mobili non ha nulla a che vedere con la modernità, le abitudini di vita del nostro secolo oppure con l’inquinamento.

Un fenomeno fisiologico dovuto all’avanzare del tempo

La struttura vitreale, esattamente come tutte le altre cellule del nostro organismo, tende ad invecchiare ed a degenerare in maniera del tutto fisiologica. Il collagene, la proteina che costituisce il vitreo, con l’avanzare degli anni, perde progressivamente omogeneità e si addensa sotto forma di piccoli accumuli gelatinosi. Le mosche volanti altro non sono che il risultato di questo fenomeno del tutto naturale e fisiologico. Esse si presentano sotto forma di pallini, puntini, anelli, ragnatele o filamenti.

Quando non è il caso di allarmarsi

La prima volta che capita di osservarle, si ha l’impressione che esse siano al di fuori del nostro occhio, mentre in realtà esse sono all’interno di esso. Per la precisione, non vediamo le mosche volanti, ma la proiezione delle stesse sulla retina, un pò come avviene in una eclissi. Una volta compreso che questi strani corpi estranei non sono al di fuori del nostro occhio ma bensì al suo interno, sicuramente può subentrare in noi un pò di ansia e di apprensione. Tuttavia, è bene sapere che essi sono un fenomeno più frequente e più comune di quanto si possa immaginare, e che nella maggioranza dei casi esse non sono sintomo di alcuna patologia. Vedere le mosche volanti occasionalmente non è nulla di patologico, anzi, fa parte della maturazione e del naturale invecchiamento dell’apparato visivo. Con l’avanzare degli anni, al contrario, non ci si fa nemmeno più caso, finendo con l’ignorarle e con l’imparare a conviverci “pacificamente”.

Quando invece è opportuno rivolgersi allo specialista?

Se il fenomeno insorge in maniera del tutto improvvisa e particolarmente intensa o se le mosche volanti sono particolarmente grandi, se il disturbo insorge in abbinamento a vista offuscata, dolore agli occhi o alla testa, è bene invece contattare il proprio specialista di fiducia, che valuterà attentamente la situazione.

Anche se, come già detto, le mosche volanti sono nella maggioranza dei casi un fenomeno del tutto naturale e fisiologico dovuto ad un lieve addensamento del gel vitreale, in alcuni casi esse potrebbero essere anche sintomo di una patologia da non sottovalutare. Potrebbe essere in atto, per fare un esempio, un’infiammazione della retina, oppure un distacco della retina. O ancora, un incremento improvviso di mosche volanti nel campo visivo potrebbe essere sintomo di un esordio di maculopatia, di una malattia autoimmune o di un’infezione in atto. E’ sempre bene, nel caso di dubbio, consultare il proprio specialista di fiducia, oppure rintracciarne uno al quale affidarsi, il quale avrà cura di esaminare la situazione approfonditamente.

Soluzioni terapeutiche alle mosche volanti

In caso di presenza di mosche volanti particolarmente fastidiose, si può provare a compiere dei movimenti dal basso verso l’alto con gli occhi, così da spostare gli addensamenti di gel vitreale da una parte all’altra. Non vi è prova scientifica, invece, relativamente all’efficacia di terapie di integratori vitaminici per limitare il fenomeno delle mosche volanti. Nei casi più invalidanti, invece, si può ricorrere ad un intervento chirurgico, la vitrectomia, che però comporta alcuni rischi che è bene non sottovalutare. Sarà il medico a stabilire se sia il caso di scegliere la strada dell’intervento oppure se sia meglio convivere con le mosche volanti.