Occhi e immersioni: cosa succede sott’acqua alla vista?
Negli ultimi anni l’attività subacquea è sempre più di moda: sono sempre più numerosi i sub che visitano con muta e bombole o senza bombole i parchi marini e i fondali dei nostri mari e oceani.
Cosa succede quando aprite gli occhi sott’acqua? La cornea è abituata a stare a contatto con l’aria, quest’ultima all’improvviso viene sostituita dall’acqua…il risultato è la tipica vista offuscata: l’occhio in questa situazione si comporta come un occhio affetto da ipermetropia elevatissima (circa 42 diottrie)!
Questa situazione è correggibile con il semplice artificio di interporre nuovamente aria fra acqua e occhio, così da annullare questa ipermetropia indotta: basta usare gli appositi occhialini per il nuoto superficiale oppure maschere adatte che possono essere dotate di lenti correttive, il cui potere è ricalcolato in relazione alla tipologia ed entità del difetto refrattivo.
Con la profondità avvengono altri cambiamenti nella nostra vista: la luminosità diminuisce rapidamente, poiché la luce viene filtrata dall’acqua: a 5 metri si ha solamente il 25 % residuo della luce di superficie e a 40 metri il 2-3%. In pratica si è al buio!
I colori spariscono rapidamente, sia perché la ridotta intensità luminosa chiama in azione i bastoncelli della retina incapaci di percepire i colori, sia perché l’acqua assorbe le radiazioni in maniera selettiva: il rosso è il primo a sparire verso una profondità di 5-10 metri, il giallo tra 15-25 metri, il verde sparisce al di là di 60 metri, il blu può arrivare fino a 400 metri; prima dell’estinzione assoluta della luce, tutto diventa grigio – verdastro.
Anche la visione del contrasto, con l’aumentare della profondità, è perturbata e si riduce in quanto il diffondersi della luce sulle particelle in sospensione genera una nebulosità diffusa.
Inoltre la maschera riduce il campo visivo a 90°-100° contro i normali 170°-180° e perciò il subacqueo, che ha necessità di poter esplorare bene l’ambiente, è obbligato a girare la testa per individuare gli oggetti, contrastare i pericoli, controllare gli strumenti ed il suo equipaggiamento.
Quanto più ridotti sono il volume interno della maschera e la distanza occhio-lente, tanto più migliora il campo visivo.
Il sub che indossa la maschera vede più ingrandito di circa un terzo e più ravvicinato del 25%: lo
squalo gigante che lo ha sfiorato…forse era qualcosa di diverso.
E’ da ricordare che in immersione l’acutezza visiva deve essere conservata molto efficiente anche da vicino, per poter leggere le tabelle di decompressione e i dati del manometro.
Per chi ha problemi di vista più importanti, si possono inserire nella maschera lenti correttive non progressive o usare lenti a contatto, pratica che esige fortemente la protezione della maschera.
Esistono controindicazioni mediche alla immersione subacquea, raccomandate da associazioni di oculisti, da confederazioni sportive, da organizzazioni pubbliche. Comprendono, con qualche differenza, diverse patologie oculari suddivise in:
• temporanee: includono le affezioni oculari acute non trattate e le varie chirurgie; negli interventi a bulbo oculare chiuso è bene astenersi da questa attività per almeno due-quattro settimane; se a bulbo aperto, da 1 a 8 mesi, a seconda dell’intervento; particolare cautela negli interventi del segmento posteriore, soprattutto se nella chirurgia per distacco di retina è stato immesso gas all’interno dell’occhio.
• permanenti: interessano le importanti patologie vascolari della retina, i portatori di protesi antiglaucomatose, i cheratoconi con minaccia di perforazione, le alterazioni gravi del campo visivo.
Nel corso di attività subacquea possono accadere fenomeni patologici, di tipo baro-traumatico e da decompressione. Com’è noto, il volume di un gas è inversamente proporzionale alla pressione esercitata su di esso e il loro prodotto è una costante (legge di Mariotte), per cui, in acqua, dato che la pressione sottomarina aumenta con la profondità, il volume dei gas contenuti all’interno del corpo (e della maschera) diminuiscono.
Le variazioni di pressione più importanti e più pericolose per l’organismo avvengono tra 0 e 10 metri.
Nella discesa la pressione interna della maschera deve essere riequilibrata: la mancata compensazione trasforma la maschera in una ventosa che risucchia gli elementi contenuti in essa (occhi, vasi del naso, cute del viso): il “colpo di ventosa” può provocare la comparsa di edema palpebrale e congiuntivale, emorragie sottocongiuntivali e retiniche, emorragie nasali; inconvenienti non gravi, che sono prevenuti riequilibrando la pressione, soffiando regolarmente con il naso all’interno della maschera.
All’opposto sono possibili incidenti da decompressione per risalite troppo rapide: embolie da bolle gassose d’azoto possono portare soprattutto a danni neurologici e vascolari con comparsa di diplopia, alterazioni del campo visivo, occlusioni dell’arteria centrale della retina, danni al nervo ottico e altre complicanze talora assai gravi.
Altri incidenti minori (cheratiti puntate superficiali con occhi arrossati, lacrimosi) vengono segnalati a causa di una supposta tossicità dell’ossigeno iperbarico e per l’uso di prodotti anti-appannamento sulla maschera venuti a contatto con l’occhio e che talvolta si rivelano tossici.
Gli occhialini sono sconsigliati nelle immersioni in profondità in quanto la piccola quantità d’aria contenuta in essi non permette la compensazione: infatti più ci si allontana dalla superficie più l’aria si comprime creando una condizione di sottovuoto che può danneggiare l’occhio; invece, usando la “maschera” da immersione che include anche il naso, si permette in genere la compensazione del volume d’aria contenuta in essa attraverso l’aria espirata dal naso.
Foto by Ilse Reijs and Jan-Noud Hutten